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La Provincia di Cremona – Pantani conquista l’Italia

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7 giugno 1998

Il ‘pirata’ romagnolo doma Tonkov anche nella crono, oggi arrivo trionfale a Milano

LUGANO — Sì, il Giro l’ha vinto su quella salita verso Montecampione, quando non s’è arreso, quando ha avuto la volontà di attaccare ancora una volta. Lì è finito l’inseguimento di Marco Pantani alla maglia rosa. La cronometro di Lugano è stata solo una formalità, la certificazione burocratica di un trionfo. Il Pirata ha vinto il Giro d’Italia. Contro il tempo si è superato, tecnicamente ha compiuto un’impresa anche più grande di quella scalata, ma l’emozione è un grido sotto il sole, in salita.

Sulla strada da Mendrisio a Lugano già alla prima curva è chiaro che il Pirata ha deciso di inventare un altro arrembaggio. Per la prima volta aggredisce la pianura come fosse un’arrampicata. Pedala con le spalle ferme come fanno i passisti. Tiene le mani sull’impugnatura allungata come un cronoman. Si alza poco sui pedali e dopo appena tre chilometri è in vantaggio di, 3″ su Pavel Tonkov. E il primo segnale, l’annuncio del trionfo. Il margine aumenta, sale a 10″ a 22 chilometri dalla fine. Significa che dovrebbe perdere cinque secondi a chilometro per dar via la maglia rosa: semplicemente impossibile. Ed infatti quando passa in ritardo (di 3 fra il km. 20 ed il km. 24) solo i più emotivi fremono. Beppe Martinelli sull’ammiraglia già piange per l’inseguimento compiuto. Ci sono voluti quattro anni, ma finalmente il Giro d’Italia è del suo eroe. Era il ’94 quando Marco inventò un folle inseguimento a Berzin e Indurain. Volò sul Mortirolo e in due mesi arrivò secondo al Giro e terzo al Tour.

Doveva essere il punto di partenza della carriera, invece c’era da fare un giro all’inferno. A maggio 1995 fu investito una prima volta e saltò il Giro. Ricostruito, arrivò al Tour per vincere all’Alpe d’Huez e al Guzet Neige. In Colombia al mondiale salì sul podio, beffato da Olano e Indurain. Ma il 18 ottobre un fuoristrada gli tranciò quasi la gamba sinistra. Per mesi dietro il sorriso nascondeva la paura di non essere più un corridore. Andò in bicicletta anche col tutore ortopedico, coi tubi di ferro che spuntavano fuori dalla carne, pur di non arrendersi. E tornò in corsa dieci mesi dopo l’incidente, al Circuito degli Assi del 31 luglio ’96. Ormai lui lo davano per finito, e Luciano Pezzi, che gli aveva fatto un contratto, per pazzo. Arriva così il ’97: la caduta al Giro nella discesa del Chiunzi, un altro ritiro, un altro ospedale, un’altra rincorsa.

In inverno sceglie di correre il Giro da vincente. La sua guerra la prepara con dedizione maniacale, convinto di poter vincere non solo con le gambe ma anche con la testa. E per questo che sin dall’inizio del Giro attacca. Scatta su ogni cavalcavia, si punzecchia con Bartoli, allunga il gruppo su tutte le colline di un Giro fin troppo piatto. Intanto sta consumando il suo avversario numero uno, quello Zuelle sulle cui misure il Giro è stato disegnato. E lo svizzero ci casca: si avvelena di tossine per tenerlo a bada a Piancavallo, si intossica con una crono-record a Trieste e crolla sulle prime montagne vere. Zuelle era nettamente il più forte a cronometro e Pantani doveva inventare la trappola in cui farlo cadere. C’è riuscito.

Pavel Tonkov, lo sconfitto, non l’ha presa bene. In un perfido comunicato dichiara: «Non sono deluso dalla mia prestazione, semmai esprimo sorpresa per quella di Pantani. Non pensavo davvero che la ‘carica’ attribuita alla maglia rosa permettesse ad uno scalatore di volare come un cronoman». Il veleno è in quella parola tra virgolette: ‘carica’ evoca lo spettro dell’epo, già richiamato al mattino dai ‘vampiri’ dell’Uci che escludono dal Giro Miceli e Forconi.

Sorgente: Pantani-conquista-l-italia.html- La Provincia

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