Il migliore. Maarco Pantani è un riuscito documentario che ha il merito di lasciar parlare ancora uno dei più grandi ciclisti di sempre e cerca di fare luce nelle zone d’ombra della sua vita vita. In sala da oggi fino al 20
C’è una data dove cambia tutto. 5 giugno 1999. A Madonna di Campiglio, dopo le analisi del sangue, i valori di ematocrito di Marco Pantani erano superiori a quelli consentiti. La “Gazzetta dello Sport” esce, per due giorni di seguito in prima pagina, con due titoli opposti. Prima “Inebriati da Pantani” e poi “Sconquasso Pantani”. Candido Cannavò, alora direttore del quotidiano sportvo, si è trasformato da suo grande tifoso a uno dei principali accusatori. Da quel momento per lui tutto è cambiato e non si è più ripreso, fino a quando è stato ritrovato morto, a 34 anni, in una stanza di un residence di Rimini il 14 febbraio 2004.
Il migliore. Marco Pantani, alterna ascesa e declino con continui controcampi: i filmati in cui si diverte con gli amici e i familiari e alcune delle imprese di uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi, perseguitato spesso dalla sfortuna per via di alcuni infortuni (lo scontro con un automobile, l’investimento da parte di un fuoristrada, entrambi nel 1995) ma capace di ritornare in sella e di vincere, nello stesso anno (il 1998), Giro d’Italia e Tour de France. Prima di lui c’erano riusciti solo Fausto Coppi, Bernard Hinault, Jacques Anquietil, Eddy Mercxx, Stephen Roche e Miguel Indurain.
Il migliore. Marco Pantani ha il grande merito di riuscire a far parlare il personaggio, di attraversare diverti momenti della sua vita dove la parabola sportiva e quella privata procedono parallelamente. Ci sono le imprese sportive e i silenzi, quel cancello della sua abitazione dove non voleva far entrare nessuno. Nelle testimonianze della famiglia e degli amici c’è un prima e un dopo. Anche dopo la morte, la sua presenza continua ad essere un fantasma che si aggira per Cesenatico.
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Il migliore. Marco Pantani è il mito, con gli oltre 40 libri scritti su di lui e la statua di 6 metri a Montecampione. È anche il campione riservato o quello che si esibiva in un locale cantando “Vagabondo” dei Nomadi. Poi è l’uomo nell’ombra, quello che vive in un buco nero, che va in tribunale a difendersi dalle accuse di frode sportiva.
Paolo Santolini si sofferma da una parte sulla sua eredità. Ma non agisce solo nell’immaginario sportivo ma rintraccia anche i suoi ‘segni vissuti’ come nell’inquadratura del cappelletto, del giubbotto e gli stivali. Dall’altro lascia trasparire ancora il dolore per una ferita mai chiusa e una vicenda giudiziaria in cui lascia emergere le ombre che restano. Le sue immagini continuano a scorrere nel documentario e nello sguardo di chi lo ricorda. Un documentario non celebrativo ma prima di tutto umano, necessario punto di partenza per indagare ancora.
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani
Sorgente: Il migliore. Marco Pantani. La recensione del documentario
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